Musica

 

Targhe Tenco: ‘Il negro’ di Max Manfredi merita il premio per la ‘Miglior canzone 2015′

È già tempo di parlare di Targhe Tenco. Sì, perché le opere in lizza per la rassegna sono quelle in uscita dal 1° settembre 2014 al 31 agosto 2015, per cui la commissione preselettiva avrà tempo fino alla fine di questo mese per individuare un massimo di 50 titoli votabili per ognuna delle 5 sezioni.

L’anno scorso è stata reintrodotta la targa per la ‘Miglior canzone’, viste le novità che avrebbero dovuto limitare la dispersione dei voti. Non so se sia stata evitata la dispersione, a mio parere però questa sezione non ha brillato per attendibilità; d’altronde è tanto affascinante quanto complicata da realizzare. Ragion per cui in questo scritto segnalerò la canzone che secondo me dovrebbe vincerla nel 2015.

Sto parlando di un brano contenuto nell’album ‘Dremong’, di Max Manfredi, dal titolo Il negro. Un autentico gioiello:

 

 

La canzone è strettamente collegata a un’altra, sempre di Manfredi, contenuta in ‘Luna persa’ (Targa Tenco album dell’anno 2009) e che si intitola Il regno delle fate. Lì si descrive uno scenario ovattato, una realtà orwelliana ingannevole, senza più parametri di riferimento e possibilità di uscire dalla trappola fatata. Un brano ipnotico e ciondolante, che sfrutta la ripetitività della metrica barbara: un andamento basato sul ritmo giambico, che si avvicina più alla concezione classica che a quella italiana, quindi inusuale nel panorama della nostra canzone. Quasi una ‘neolingua’ troppo gradevole, perciò infida.

 

Così, dopo aver ricodificato la grammatica con Il regno delle fate, Il negro sembra essere l’applicazione e l’evoluzione che ne sfrutta le potenzialità virtuose. Anche l’armonia è più complessa, perché nel primo brano la scansione degli accordi è più “regolare” per ogni battuta, mentre nel secondo Manfredi movimenta le acque, pur riproponendo l’ossessività della ripetizione della cellula ritmica: lì era il giambo, qui il trocheo, come a completare la fenomenologia d’applicazione dei due principali metri antichi, per ciò che riguarda la poesia d’invettiva e quella lirica.

La canzone parla di uno scenario in cui gli schemi sono tutti saltati e il cantautore non canta. Le musiche che vanno di moda non lo riguardano, allora non gli resta che ingaggiare un ghostwriter (‘il negro’, appunto) per realizzare e dedicare alla sua donna una di quelle canzoni: un brano da sottofondo o da ascoltare ad altissimo volume, senza parole «che non sono state programmate».

Ci si rivolge a un ‘tu’ femminile, probabilmente alla signora non più giovane de Il regno delle fate, alla rossa col cappotto o alla ragazza nigeriana che abitano quella canzone. Di certo si descrive mirabilmente la società attuale tramite le dinamiche del rapporto tra maschi e femmine, in modo più caustico di come farebbe Selvaggia Lucarelli quand’è in forma.

È un mondo in cui c’è persino nostalgia per «i padroni antichi», che – pur se aristocratici o liberticidi – si muovevano all’interno di un universo di regole, in un sistema di valori filosofici ben preciso. Ora tutto è saltato, dai luoghi di culto a quelli di cultura, persino il linguaggio e il sillabario. Ogni responsabilità è annientata. In questo senso anche il titolo perde ogni significato offensivo o razziale: le parole non hanno più storia e risvolti etici, soddisfano solo la comunicazione elementare di superficie.

Questo è il tempo dei proclami politici da non rispettare, perché la parola non conta; e allora, in questo universo di segni vuoti o assenti, l’io poetico preferisce adeguarsi e commissionare la canzone, preservandosi il vantaggio di una “dedica muta” a rischio zero, nel caso in cui non piaccia.

Il negro è la cinica e atroce descrizione della nostra società.

Paradossalmente, se Manfredi avesse realmente usato un ghostwriter avrebbe completato il contenuto, allineando la predisposizione ingannevole del brano con la sua realizzazione, con un gesto che si sarebbe fatto scrittura. Avrebbe concretizzato in maniera esemplare l’impossibilità odierna della comunicazione ‘poetica’ della canzone d’autore.

Mi tornano alla mente qui le parole di Alessio Lega in una mia vecchia intervista, riguardo a Manfredi: «Il suo è un lavoro di devastazione della lingua che, per me, coincide col pessimismo più totale e mi fa affermare che lui non creda nella comunicazione; distrugge la fiducia nella comunicazione in maniera sublime».

Spero proprio che questo sublime valga a Il negro la Targa Tenco come miglior canzone dell’anno.

Articolo di di Paolo Talanca pubblicato su Il fatto quotidiano il 2 agosto 2015

 

Il Negro

Ho pagato un "negro" che ti scriva una canzone e te la dedichi perché non ne sarei capace
Resto qui in un angolo a guardare senza farci troppo caso per vedere almeno se ti piace
Anche in sottofondo sta benissimo o ad altissimo volume fra le volte e i fari del locale
Importante invece non sentire quel che dico e quel che dici, per capirsi solo col labiale
Io come un cretino nella metro che mi segno le parole che non sono state programmate
Tu che da bambina non t'han detto com'è duro ed impietoso ed impreciso il Regno delle Fate
Il sovrano è nudo, mia regina, e nel reame gira voce, e dentro al libro, prima che si chiuda
di tutti quei sudditi fedeli od infedeli che hanno avuto il privilegio di vederti nuda
Gli uomini che ami si son messi nei casini per la gioia adolescente di restare indenni
Tanto l'hai capito che il convento questo passa e che i migliori son rimasti dei diciassettenni
Uno va lontano, un altro schizza, uno si ammazza per amore o per lavoro, uno diventa vetro
Nonostante qualche somiglianza non sei l'angelo custode, no davvero, tu per stargli dietro
I padroni antichi ci han lasciato con la zuppa e con le chiavi hanno raggiunto stelle più lontane
Io non provo alcuna gratitudine, soltanto questa sorda nostalgia, come se fossi un cane
Quando torneranno in forze per rivendicare il regno che gli spetta per diritto ereditario
troveranno cinema sfasciati, radio e navi abbandonate a ferro e fuoco il loro sillabario
Ho pagato un "negro", un prestanome che ti scriva una canzone e se ti piace ti dirò che è mia
Lui sarà contento dei suoi soldi andando a casa ed io sarò troppo contento della mia bugia
Ho pagato una controfigura, un prestafaccia che ti scriva una canzone e se non t'è piaciuta
non importa, spacco il culo al vento, sono l'unico capace a dedicarti una canzone muta

 

 

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