Il genio incompreso di Alan Turing,
colui che ideò il primo computer

 

Una mente geniale. Un uomo gentile. Il patriota il cui lavoro ha salvato la vita di molti. La cui vita è stata stroncata dal pregiudizio e dall’ignoranza.
Una storia che ci ricorda come le conquiste di civiltà non sono mai scontate e nemmeno eterne.

 

 

Immaginate un ragazzino straordinariamente portato per le materie scientifiche. E malvisto dagli insegnanti per via dello scarso interesse per il latino e la religione. Un ragazzino piuttosto timido che vive in un paese molto attento alle differenze di classe qual era (e quale è) il Regno Unito. È l’incipit della storia meravigliosa e terribile di Alan Turing, il genio che dopo aver ottenuto a stento il diploma, viene ammesso al King’s College di Cambridge dove diventa allievo di Wittgenstein e può dedicarsi allo studio della meccanica quantistica, della logica e della teoria della probabilità senza dover subire ulteriori seccature.

Studio che lo porterà a comprendere con cinque anni di anticipo quello che Gödel formulerà nei suoi “Teoremi d’incompletezza”, un’intuizione vertiginosa che mette in crisi le tradizionali convinzioni sulla razionalità della matematica. Alla luce di questa scoperta, il compito che Turing si assume è verificare l’esistenza di un modo per determinare a priori se un teorema sia esatto o meno; da queste riflessioni nasce quella che sarà definita la “Macchina di Turing”, di fatto il prototipo del primo computer. L’idea geniale consiste nello spezzare le istruzioni in semplici sequenze da dare in pasto alla macchina costruendo algoritmi a misura di ogni problema, un approccio che avrà grande influenza sullo sviluppo dell’informatica. Per questa ragione Turing è giustamente considerato il padre dell’intelligenza artificiale; era infatti sua convinzione che si potessero costruire apparati in grado di simulare i processi del cervello umano. Un suo lavoro scientifico noto come “Test di Turing” postula un esperimento mentale; consiste nel far dialogare una persona chiusa in una stanza con un interlocutore umano e con una macchina; nel caso in cui non si riesca a distinguere l’uomo dalla macchina, secondo Turing si può legittimamente affermare di essere in presenza di una “macchina intelligente”.

Nel 1939 la Germania nazista invade la Polonia e la Gran Bretagna entra in guerra. All’età di 28 anni Turing è il capo dei ricercatori impegnati nella decrittazione dei codici tedeschi, compito particolarmente difficile poiché “Enigma” generava un codice che mutando costantemente permetteva alla marina tedesca di massimizzare l’efficacia della caccia ai convogli nell’Atlantico. Secondo gli storici, il lavoro di decrittazione di Turing fu importante al punto da accorciare la durata della guerra di un paio di anni.  Questa attività rimase segreta per ordine del governo britannico, segreto che impedì a Turing di ricevere riconoscimenti ampiamente dovuti. Queste attività divennero di dominio pubblico solo nel 1974 quando Turing e molti dei suoi colleghi erano morti da tempo.

Terminata la guerra, Turing riprese con successo l’attività accademica e di ricerca, in particolare approfondendo la relazione che corre tra computer e mente umana. Eletto Membro della Royal Society, si trasferì all’Università di Manchester, dove lavorò alla realizzazione della Manchester Automatica Digital Machine. Appassionato podista, vinse alcune gare di corsa raggiungendo anche ottimi livelli nella maratona (il suo record personale è un eccellente 2 ore 46 minuti e 11 secondi.

 

Purtroppo la vicenda umana di una delle menti più brillanti del Novecento non ha conclusione felice. Nella civilissima Gran Bretagna del secolo scorso l’omosessualità era considerata un reato punibile con il carcere. Il 31 marzo 1952 Alan Turing fu arrestato e portato in tribunale. A sua difesa affermò che “non scorgeva niente di male nelle sue azioni”.

Condannato, fu costretto a scegliere tra una pena a due anni di carcere o la castrazione chimica. Turing optò per la seconda possibilità. Per oltre un anno subì trattamenti farmacologici a base di estrogeni che provocarono il calo della libido e lo sviluppo del seno. L’8 giugno 1954 fu trovato morto nel suo letto. La depressione legata all’umiliazione subita è unanimemente ritenuta il motivo che lo condusse al suicidio.

Una mente geniale. Un uomo gentile. Uno sportivo appassionato. Il patriota il cui lavoro ha salvato la vita di molti. La cui vita è stata stroncata dal pregiudizio e dall’ignoranza. Una storia che ci ricorda come le conquiste di civiltà, di tolleranza e di rispetto sono un frutto che matura con esasperante dolorosa lentezza. Mai scontato e neppure per sempre.

Articolo di Giuseppe Ravera pubblicato su Centodieci il 14 febbraio 2019

 

 

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