Quanto ci costi cappellano
Ecco gli stipendi d'oro dei
preti militari
Grazie a una legge
del 1961, i sacerdoti in divisa sono equiparati agli ufficiali. Per loro
lo Stato spende oltre 20 milioni di euro, tra retribuzioni, tredicesime,
benefit e pensioni. E la riforma in arrivo che promette tagli in realtà
farà risparmiare solo il 3 per cento, appena 350mila euro
L'arcivescovo
Santo Marcianò Papa Francesco la sua opinione
l’ha fatta conoscere da tempo: per assistere spiritualmente i
soldati, in caserma e nelle missioni all’estero, non servono
sacerdoti coi gradi. Anche il buonsenso del
pontefice, però, rischia di infrangersi davanti a una questione
che si trascina da anni fra resistenze fortissime:
l’equiparazione dei cappellani militari a
ufficiali delle Forze armate in virtù di una legge del 1961.
Sacerdoti-colonnello, tenente o capitano che possono aspirare
a diventare generali e hanno diritto a retribuzioni
dorate, indennità di ogni tipo, avanzamenti automatici
di carriera e una serie di benefit assai lontani dall’idea della
Chiesa povera tanto cara al papa venuto dalla fine del mondo. Un
assoluto centro di comando “anfibio”, metà religioso e metà
temporale, che fa parte a tutti gli effetti dello Stato
italiano, ha rapporti diretti col Quirinale (che nomina per
decreto i cappellani), il ministro della Difesa e il potere
politico e che alla consolidata felpatezza vaticana unisce il
rigore proprio della gerarchia militare.
Un universo che è un viatico per fulgide carriere, come mostra
il caso del cardinale Angelo Bagnasco, divenuto
noto con la celebrazione dei funerali dei solati caduti in
Afghanistan e Iraq e approdato dopo appena tre anni al vertice
della Cei.
CARO
CURATO
Nel 2015 fra effettivi e “di complemento”, realtà abolita da
anni per gli ufficiali, solo di stipendi i 205
cappellani sono costati oltre 10 milioni di
euro, un terzo in più di appena due anni prima. E
chissà che direbbe il Papa, che puntualmente tuona contro
l’arricchimento del clero, se sapesse che l’arcivescovo
Santo Marcianò, che lui stesso ha nominato ordinario
nel 2013, in virtù dell’equiparazione a generale di corpo
d’armata può contare su 9.545 euro lordi al mese,
che con la tredicesima diventano 124mila l’anno.
Il ruolo di vicario generale, assimilabile a generale di
divisione, ne garantisce 108mila, mentre gli ispettori (generali
di brigata) arrivano a 6mila al mese. Altri due milioni costa il
funzionamento della diocesi, ovvero l’
Ordinariato , che ha sede a Monti, alla salita del
Grillo, in uno stupendo complesso con vista sui Fori, e dispone
pure di un seminario equiparato ad accademia nella cittadella
militare della Cecchignola. Cifre alle quali aggiungere almeno
7 milioni per pagare le pensioni, che grazie ai
cospicui contributi previdenziali si aggirano in media attorno
ai 3mila euro al mese. Impossibile però conoscere cifre esatte
per questi dipendenti pubblici: l’Inpdap non è in grado di
fornire un dato preciso.
Nel complesso, dunque, l’assistenza spirituale alle Forze armate
costa alle casse pubbliche circa 20 milioni:
tutti soldi, si badi bene, aggiuntivi rispetto al miliardo di
euro che già annualmente entra nelle casse della Cei ed è usato
in gran parte proprio per il sostentamento del clero. Ma se lo
stipendio di un prete è sui mille euro, un cappellano come
tenente parte dal doppio e a fine carriera, da colonnello, può
superare i 5mila.
Senza contare gli innumerevoli bonus. Se il
sacerdote dei parà si butta col paracadute (in passato uno è
stato perfino istruttore) ha diritto all’indennità di lancio;
quello della marina, se non è a terra, all’indennità di
imbarco. E poi, fra le tante, quella di trasferimento, il
rimborso per il trasporto del bagaglio personale e dei mobili,
l’indennizzo chilometrico per gli spostamenti. «E siccome
l’orario è quello d’ufficio, una celebrazione dopo le 16,30
viene considerata straordinario», spiega un cappellano che
chiede l’anonimato. Benefit già difficili da accettare per i
graduati, figurarsi per un ecclesiastico. Che quando va in
missione internazionale gode pure della relativa lievitazione
della busta paga. Forse anche per questo è sempre una stessa
ristretta cerchia a prendervi parte.
IL BUON SOLDATO
Tanti privilegi favoriscono il rampantismo e rischiano di
distogliere dalla missione evangelica. Come
pure i ricorrenti casi di cronaca, l’ultimo dei quali risalente
ai giorni scorsi: un cappellano dell’Aeronautica indagato dalla
Procura di Pisa per stalking verso un giovane aviere al quale
chiedeva prestazioni sessuali. Del resto della vita militare
questo mondo dorato ha solo i vantaggi: un concorso di accesso
non c’è, le visite di idoneità non sono affatto inflessibili e
il sovrappeso, teoricamente motivo di congedo forzato, non
rappresenta un problema.
Ma c’è pure chi vive con fastidio tanti benefit, perché compito
di un religioso è essere un buon pastore d’anime. O al massimo
un soldato sì, ma di Gesù, come ricorda nel nome il trimestrale
dell’Ordinariato “Bonus miles Christi”. Solo che la rivista,
spedita gratis alle istituzioni e pagata dal ministero della
Difesa, più che a un bollettino informativo assomiglia a una
tribuna dell’arcivescovo Marcianò. Con una sovraesposizione,
anche fotografica, che fra omelie, interviste e prefazioni
supera non solo gli spazi minimi relativi alle attività
pastorali, ma pure quello riservato ai discorsi del pontefice.
D’altronde si tratta pur sempre di un generale di corpo
d’armata, per quanto in abito talare.
RIFORMA O NO?
Ma se lo Stato è laico, perché non togliere i
gradi ai cappellani e far provvedere direttamente al Vaticano?
Se ne parla da anni. «La Chiesa è pronta da ieri, non da
domani», ha assicurato a Radio radicale nel 2013 il vicario
generale, monsignor Angelo Frigerio.
«Senz’altro, basta trovare formule alternative», ha ribadito nel
2014 Marcianò. «In tempi brevi si giungerà a una soluzione», ha
garantito a inizio 2015 padre Federico Lombardi,
direttore della Sala stampa.
Malgrado gli annunci, il tavolo bilaterale si è insediato solo
lo scorso gennaio e ci sono voluti altri due mesi per la seconda
riunione. Il rischio delle calende greche, insomma, è concreto,
anche perché l’Italia si è seduta al tavolo senza nemmeno
presentare una proposta e ha schierato la stessa squadra che si
occupa del Concordato, notoriamente assai vicina alla Santa
Sede. Inoltre tre membri su sei sono anche nella commissione che
dovrebbe rivedere il meccanismo dell’8 per mille,
mai toccato nonostante le ripetute critiche della Corte dei
conti per l’eccessivo vantaggio che deriva alla Cei dalla
modalità di ripartizione dei soldi.
Solo casualità? Di certo il tema scotta: da quando la Chiesa ha
meno voce nella scelta dei docenti di religione, le Forze armate
sono l’unico appiglio rimasto. Per questo il Vaticano, dietro
l’apparente disponibilità, non molla. «La nomina dei tre
ispettori-generali di brigata per l’esercito, la finanza e i
carabinieri è stata sospesa dalla Difesa in vista della riforma.
Sulla carta ci sono ma di fatto no, quindi la nostra
spending review ce l’abbiamo già», dice all’Espresso
Frigerio, che da ex sindacalista Cgil (in gioventù era
elettricista) guida la commissione d’Oltretevere.
Parole non casuali, perché proprio questa sarà la linea del
Piave per la Santa Sede: riservare il grado di generale solo
all’ordinario militare ma lasciando tutto il resto così com’è.
Equiparazione con gli ufficiali e benefit compresi. Risparmio
stimato: 350 mila euro, il 3 per cento appena. Non proprio un
gran sacrificio. Articolo di
Paolo Fantauzzi pubblicato su L'Espresso il 2 maggio 2016
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