La verità è rivoluzionaria, ma se si viene a sapere
E’ venuto dunque il momento di dire la verità sul referendum. La
verità è rivoluzionaria nel senso che interrompe il corso delle cose
esistenti e crea una situazione nuova.
Il guaio della verità è che essa si viene a sapere troppo tardi,
quando il tempo è passato, il kairos non è stato afferrato al volo e
la verità non è più utile a salvarci.
Se si fosse saputa in tempo la bugia sul mai avvenuto incidente del
Golfo del Tonchino, la guerra del Vietnam non ci sarebbe stata,
l’America non sarebbe diventata incapace di seguire la via di
Roosevelt, di Truman, di Kennedy, e avrebbe potuto guidare
l’edificazione democratica e pacifica del nuovo ordine mondiale
inaugurato venti anni prima con la Carta di San Francisco.
Se si fosse conosciuta prima la bugia di Bush e di Blair, e saputo
che le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein non c’erano,
non sarebbe stato devastato il Medio Oriente, il terrorismo non
avrebbe preso le forme totali dei combattenti suicidi in tutto il
mondo e oggi non rischieremmo l’elezione di Trump in America.
Se si fosse saputa la verità sul delitto e sui mandanti
dell’uccisione di Moro, l’Italia si sarebbe salvata dalla decadenza
in cui è stata precipitata.
Dunque
la verità del referendum va conosciuta finché si è in tempo.
Ma la verità del referendum non è quella che ci viene raccontata. Ci
dicono per esempio che la sua prima virtù sarebbe il risparmio sui
costi della politica, e che i soldi così ottenuti si darebbero ai
poveri. Ma così non è: secondo la Ragioneria Generale dello Stato,
il cui compito è di verificare la certezza e l’affidabilità dei
conti pubblici, il risparmio si ridurrebbe a cinquantotto milioni
che si otterrebbero togliendo la paga ai senatori, mentre resterebbe
il costo del Senato, e i poveri non c’entrano niente.
L’altra virtù del referendum sarebbe il risparmio sui tempi della
politica. Ci dicono infatti di voler abolire la navetta delle leggi
tra Camera e Senato. Ma così non è. In realtà si allungano i tempi
della produzione legislativa; infatti si introducono sei diversi
tipi di leggi e di procedure che ricadono su ambedue le Camere: 1)
le leggi sempre bicamerali, Camera e Senato, come le leggi
costituzionali, elettorali e di interesse europeo; 2) le leggi fatte
dalla sola Camera che entro dieci giorni possono essere richiamate
dal Senato; 3) le leggi che invadono la competenza regionale che il
Senato deve entro dieci giorni prendere in esame; 4) le leggi di
bilancio che devono sempre essere esaminate dal Senato che ha
quindici giorni per proporre delle modifiche; 5) le leggi che il
Senato può chiedere alla Camera di esaminare entro sei mesi; 6) le
leggi di conversione dei decreti legge che hanno scadenze e tempi
convulsi se richiamate e discusse anche dal Senato. Ciò crea un
intrico di passaggi tra Camera e Senato e un groviglio di competenze
il cui conflitto dovrebbe essere risolto d’intesa tra gli stessi
presidenti delle due Camere che configgono tra loro.
Ci dicono poi che col referendum si assicura la stabilità politica,
e almeno fino a ieri ci dicevano che al contrario se perde il
referendum Renzi se ne va. Ma queste non sono le verità del
referendum. Finché si resta a questo la verità del referendum non
viene fuori.
Non è la legge Boschi il vero oggetto del referendum
La verità del referendum sta dietro di esso, è la verità nascosta
che esso rivela: il referendum infatti non è solo un fatto
produttore di effetti politici, è un evento di rivelazione che
squarcia il velo sulla situazione com’è. È uno svelamento della vera
lotta che si sta svolgendo nel mondo e della posta che è in gioco.
Il referendum come cunto de li cunti, potremmo dire in Sicilia, il
racconto dei racconti, come togliere il velo del tempio per vedere
quello che ci sta dietro, se ci sta Dio o l’idolo. Il referendum
come rivelatore dello stato del mondo.
Ora, per trovare la verità nascosta del referendum, il suo vero
movente, la sua vera premeditazione, bisogna ricorrere a degli
indizi, come si fa per ogni giallo.
Il primo indizio è che Renzi ha cambiato strategia, all’inizio aveva
detto che questa era la sua vera impresa, che su questo si giocava
il suo destino politico. Ora invece dice che il punto non è lui, che
lui non è la vera causa della riforma, ha detto di aver fatto questa
riforma su suggerimento di altri e ha nominato esplicitamente
Napolitano; ma è chiaro che non c’è solo Napolitano. Prima ancora di
Napolitano c’era la banca J. P. Morgan che in un documento del 2013,
in nome del capitalismo vincente, aveva indicato quattro difetti
delle Costituzioni (da lei ritenute socialiste) adottate in Europa
nel dopoguerra: a) una debolezza degli esecutivi nei confronti dei
Parlamenti; b) un’eccessiva capacità di decisione delle Regioni nei
confronti dello Stato; c) la tutela costituzionale del diritto del
lavoro; d) la libertà di protestare contro le scelte non gradite del
potere.
Prima ancora c’era stato il programma avanzato dalla Commissione
Trilaterale, formata da esponenti di Stati Uniti, Europa e Giappone
e fondata da Rockefeller, che aveva chiesto un’attenuazione della
democrazia ai fini di quella che era allora la lotta al comunismo. E
la stessa cosa vogliono ora i grandi poteri economici e finanziari
mondiali, tanto è vero che sono scesi in campo i grandi giornali che
li rappresentano, il Financial Times ed il Wall Street Journal, i
quali dicono che il No al referendum sarebbe una catastrofe come il
Brexit inglese. E alla fine è intervenuto lo stesso ambasciatore
americano che a nome di tutto il cocuzzaro ha detto che se in Italia
viene il NO, gli investimenti se ne vanno.
Ebbene quelle richieste avanzate da questi centri di potere sono
state accolte e incorporate nella riforma sottoposta ora al voto del
popolo italiano. Infatti con la riforma voluta da Renzi il
Parlamento è stato drasticamente indebolito per dare più poteri
all’esecutivo. Delle due Camere di fatto è rimasta una sola, come a
dire: cominciamo con una, poi si vedrà. Il Senato lo hanno fatto
così brutto deforme e improbabile, che hanno costretto anche i
fautori del Senato a dire che se deve essere così, è meglio
toglierlo. Inoltre il potere esecutivo sarà anche padrone del
calendario dei lavori parlamentari. Il rapporto di fiducia tra il
Parlamento ed il governo viene poi vanificato non solo perché
l’esecutivo non avrà più bisogno di fare i conti con quello che
resta del Senato, ma perché dovrà ottenere la fiducia da un solo
partito. La legge elettorale Italicum prevede infatti che un solo
partito avrà - quale che sia la percentuale dei suoi voti, al primo
turno o al ballottaggio - la maggioranza assoluta dei seggi alla
Camera (340 deputati su 615). Il problema della fiducia si riduce
così ad un rapporto tra il capo del governo e il suo partito e
perciò ricadrà sotto la legge della disciplina di partito. Quindi
non sarà più una fiducia libera, non sarà una vera fiducia, sarà per
così dire un atto interno di partito, che addirittura può ridursi al
rapporto tra un partito e il suo segretario.
Per quanto riguarda le altre richieste dei poteri economici, i
diritti del lavoro sono stati già compromessi dal Jobs act, il
rapporto tra Stato e Regioni ha subito un rovesciamento, perché
dall’ubriacatura regionalista si ritorna a un centralismo
illimitato, mentre, assieme alla riduzione del pluralismo politico,
ci sono delle procedure che renderanno più difficili le forme di
democrazia diretta come i referendum o le leggi di iniziativa
popolare, e quindi ci sarà una diminuzione della possibilità per i
cittadini di intervenire nei confronti del potere.
Questo è il disegno di un’altra Costituzione. La storia delle
Costituzioni è la storia di una progressiva limitazione del potere
perché le libertà dipendono dal fatto che chi ha il potere non abbia
un potere assoluto e incontrollato, ma convalidato dalla fiducia dei
Parlamenti e garantito dal costante controllo democratico dei
cittadini. E’ questo che ora viene smontato, per cui possiamo dire
che la democrazia in Italia diventa ad alto rischio.
Ma a questo punto è chiaro che quello che conta non è più Renzi, ed
è chiaro che quanti sono interessati a questa riforma gli hanno
detto di tirarsi indietro, perché a loro non interessa il sì a Renzi,
interessa che non vinca il no alla riforma.
Il secondo indizio è il ritardo della data della convocazione, che
non è stata ancora fissata dal governo; ciò vuol dire che la partita
è troppo importante per farne un gioco d’azzardo, come ne voleva
fare Renzi, mentre i sondaggi e le sconfitte alle amministrative
sono stati inquietanti. Perciò occorreva meno baldanza da Miles
Gloriosus e più preparazione. E occorreva alzare il livello dello
scontro, e soprattutto ci voleva il riarmo prima che si giungesse
allo scontro finale. Il riarmo per acquisire la superiorità sul
terreno era l’acquisto del controllo totale dell’informazione, non
solo i giornali, di fatto già posseduti, ma radio e TV, ciò che è
stato fatto in piena estate con le nomine alla RAI.
Se davvero si trattava di scorciare i tempi e distribuire un po’ di
sussidi ai poveri, non c’era bisogno del controllo totale
dell’informazione.
Inoltre bisognava distruggere il principale avversario e fautore
politico del No, il Movimento 5 Stelle. Questo spiega l’attacco
spietato e incessante alla Raggi. E poi ci volevano i tempi
supplementari per distribuire un po’ di soldi con la legge
finanziaria.
C’è poi un terzo indizio. Interrogato sul suo voto Prodi dice: non
mi pronunzio perché se no turbo i mercati e destabilizzo l’Italia in
Europa. Dunque non è una questione italiana, è una questione che
riguarda l’Europa, è una questione che potrebbe turbare i mercati.
Insomma è qualcosa che ha a che fare con l’assetto del mondo.
Lo spartiacque non è stato l’11 settembre
A questo punto è necessario sapere come sono andate le cose.
Partiamo dall’11 settembre di cui si è tanto parlato ricorrendone
l’anniversario in questi giorni.
Il mondo è cambiato l’11 settembre 2001? Tutti hanno detto così. Ma
il mondo non è cambiato quel giorno: quello è stato il sintomo
spaventoso della malattia che già avevamo contratto. L’11 settembre
ha mostrato invece il suo volto il mondo che noi stessi avevamo
deciso di costruire dieci anni prima.
Nel 1991 con dieci anni di anticipo sulla sua fine fu da noi chiuso
il Novecento, tanto che uno storico famoso lo soprannominò “Il
secolo breve” [1] e così fu dato inizio a un nuovo secolo, a un
nuovo millennio e a un nuovo regime che nella follia delle classi
dirigenti di allora doveva essere quello definitivo, tanto è vero
che un economista famoso lo definì come la “fine della storia” [2].
Quello che avevamo fatto dieci anni prima dell’11 settembre è che
avevamo deciso di rispondere alla fine del comunismo portando un
capitalismo aggressivo fino agli estremi confini della terra;
avevamo deciso di rispondere alla cosiddetta fine delle ideologie
trasformando il capitalismo da cultura a natura, promuovendolo da
ideologia a legge universale, da storicità a trascendenza; avevamo
preteso di superare il conflitto di classe smontando i sindacati,
avevamo deciso di sfruttare la fine della contrapposizione militare
tra i blocchi facendo del Terzo Mondo un teatro di conquista.
La scelta decisiva, che non si può chiamare rivoluzionaria perché
non fu una rivoluzione ma un rovesciamento, e dunque fu una scelta
restauratrice e totalmente reazionaria, fu quella di disarmare la
politica e armare l’economia ma non in un solo Paese, bensì in tutto
il mondo. Non essendoci più l‘ostacolo di un mondo diviso in due
blocchi politici e militari, eguali e contrari, l’orizzonte di
questo regime fu la globalità, la mondialisation come dicono i
francesi, si stabilì un regime di globalità esteso a tutta la terra.
Quale è stato l’evento in cui ha preso forma e si è promulgata, per
così dire questa scelta?
C’è una teoria molto attendibile secondo cui all’inizio di un’intera
epoca storica, all’inizio di ogni nuovo regime, c’è un delitto
fondatore. Secondo René Girard all’inizio della storia stessa della
civiltà c’è il delitto fondatore dell’uccisione della vittima
innocente, ossia c’è un sacrificio, grazie al quale viene ricomposta
l’unità della società dilaniata dalle lotte primordiali.
Secondo Hobbes lo Stato stesso viene fondato dall’atto di violenza
con cui il Leviatano assume il monopolio della forza ponendo fine
alla lotta di tutti contro tutti e assicurando ai sudditi la vita in
cambio della libertà.
Secondo Freud all’origine della società civile c’è il delitto
fondatore dell’uccisione del padre.
Se poi si va a guardare la storia si trovano molti delitti
fondatori. Cesare molte volte viene ucciso, il delitto Matteotti è
il delitto fondatore del fascismo, l’assassinio di Kennedy apre la
strada al disegno di dominio globale della destra americana che si
prepara a sognare, per il Duemila, “il nuovo secolo americano”,
l’uccisione di Moro è il delitto fondatore dell’Italia che si pente
delle sue conquiste democratiche e popolari.
Ebbene il delitto fondatore dell’attuale regime del capitalismo
globale fondato, come dice il papa, sul governo del denaro e
un’economia che uccide, è la prima guerra del Golfo del 1991.
La guerra come delitto fondatore e il nuovo Modello di
Difesa
È a partire da quella svolta che è stato costruito il nuovo ordine
mondiale. E noi possiamo ricordare come sono andate le cose a
partire dal nostro osservatorio italiano Non è un punto di
osservazione periferico, perché l’Italia era una componente
essenziale del sistema atlantico e dell’Occidente, ma era anche il
Paese più ingenuo e più loquace, sicché spifferava alla luce del
sole quello che gli altri architettavano in segreto.
Questa è la ragione per cui posso raccontarvi come sono andate le
cose, a partire da una data precisa. E questa data precisa è quella
del 26 novembre 1991, quando il ministro della Difesa Rognoni viene
alla Commissione Difesa della Camera e presenta il Nuovo Modello di
Difesa.
Perché c’era bisogno di un nuovo Modello di Difesa? Perché la difesa
com’era stata organizzata in funzione del nemico sovietico, che non
c’era più, era ormai superata. Ci voleva un nuovo modello. Il
modello di difesa che era scritto nella Costituzione era molto
semplice e stava in poche righe: la guerra era ripudiata, la difesa
della Patria, intesa come territorio e come popolo, era un sacro
dovere dei cittadini. A questo fine era stabilito il servizio
militare obbligatorio che dava luogo a un esercito di leva
permanente, diviso nelle tre Forze Armate tradizionali. Le norme di
principio sulla disciplina militare dell’ 11 luglio 1978, definivano
poi i tre compiti delle Forze Armate. Il primo era la difesa
dell’integrità del territorio, il secondo la difesa delle
istituzioni democratiche e il terzo l’intervento di supporto nelle
calamità naturali. Non c’erano altri compiti per le FF.AA. La difesa
del territorio comportava soprattutto lo schieramento dell’esercito
sulla soglia di Gorizia, da cui si supponeva venisse la minaccia
dell’invasione sovietica, e la sicurezza globale stava nella
partecipazione alla NATO, che prevedeva anche l’impiego dall’Italia
delle armi nucleari.
Con la soppressione del muro di Berlino e la fine della guerra
fredda tutto cambia: non c’è più bisogno della difesa sul confine
orientale, la minaccia è finita e anche la deterrenza nucleare viene
meno. Ci sarebbe la grande occasione per costruire un mondo nuovo,
si parla di un dividendo della pace che sono tutti i soldi
risparmiati dagli Stati per le armi, con cui si può provvedere allo
sviluppo e al progresso di tutti i popoli del mondo; servono meno
soldati e anche la durata della ferma di leva può diventare più
breve.
Ma l’Occidente fa un'altra scelta; si riappropria della guerra e la
esibisce a tutto il mondo nella spettacolare rappresentazione della
prima guerra del Golfo del 1991, cambia la natura della NATO,
individua il Sud e non più l’Est come nemico, cambia la visione
strategica dell’alleanza e ne fa la guardia armata dell’ordine
mondiale cercando di sostituirla all’ONU e anche di cambiare gli
ideali della comunità internazionale che erano la sicurezza e la
pace. Viene scelto un altro obiettivo: finita la guerra fredda, c’è
un altro scopo adottato dalle società industrializzate, spiegherà il
nuovo “modello” italiano, ed è quello di “mantenere e accrescere il
loro progresso sociale e il benessere materiale perseguendo nuovi e
più promettenti obiettivi economici, basati anche sulla certezza
della disponibilità di materie prime”. Di conseguenza, si afferma,
si aprirà sempre più la forbice tra Nord e Sud del mondo, anche
perché il Sud sarà il teatro e l’oggetto della nuova concorrenza tra
l’Occidente e i Paesi dell’Est. Alla contrapposizione Est-Ovest si
sostituisce quella Nord-Sud.
Tutto questo precipita nel nuovo modello di difesa italiano, è
scritto in un documento di duecentocinquanta pagine e il ministro
Rognoni, papale papale, lo viene a raccontare alla Commissione
Difesa della Camera, di cui allora facevo parte.
E’ un dramma, una rottura con tutto il passato. Cambia il concetto
di difesa, il problema, dice il ministro, non è più “da chi
difendersi” (cioè da un eventuale aggressore) ma “che cosa difendere
e come”. E cambia il che cosa difendere: non più la Patria, cioè il
popolo e il territorio, ma “gli interessi nazionali nell’accezione
più vasta di tali termini” ovunque sia necessario; tra questi sono
preminenti gli interessi economici e produttivi e quelli relativi
alle materie prime, a cominciare dal petrolio. Il teatro operativo
non è più ai confini, ma dovunque sono in gioco i cosiddetti
“interessi esterni”, e in particolare nel Mediterraneo, in Africa
(fino al Corno d’Africa) e in Medio Oriente (fino al Golfo Persico);
la nuova contrapposizione è con l’Islam e il modello, anzi la chiave
interpretativa emblematica del nuovo rapporto conflittuale tra Islam
e Occidente, dice il Modello, è quella del conflitto tra Israele da
un lato e mondo arabo e palestinesi dall’altro. Chi ha detto che non
abbiamo dichiarato guerra all’Islam? Noi l’abbiamo dichiarata nel
1991. L’ho dichiarata anch’io, in quanto membro di quel Parlamento,
anche se mi sono opposto.
I compiti della Difesa non sono più solo quei tre fissati nella
legge di principio del 1978 ma si articolano in tre nuove funzioni
strategiche, quella di “Presenza e Sorveglianza” che è “permanente e
continuativa in tutta l’area di interesse strategico” e comprende la
Presenza Avanzata che sostituisce la vecchia Difesa Avanzata della
NATO, quella di “Difesa degli interessi esterni e contributo alla
sicurezza internazionale”, che è ad “elevata probabilità di
occorrenza” (e sono le missioni all’estero che richiedono
l’allestimento di Forze di Reazione Rapida), e quella di “Difesa
Strategica degli spazi nazionali”, che è quella tradizionale di
difesa del territorio, considerata però ormai “a bassa probabilità
di occorrenza”.
A seguito di tutto ciò lo strumento non potrà più essere l’esercito
di leva, ci vuole un esercito professionale ben pagato. Non
serviranno più i militari di leva; già succedeva che i generali non
facessero salire gli arruolati come avieri sugli aeroplani, e i
marinai sulle navi; ma d’ora in poi i militari di leva saranno
impiegati solo come cuochi, camerieri, sentinelle, attendenti,
uscieri e addetti ai servizi logistici, sicché ci saranno centomila
giovani in esubero e ben presto la leva sarà abolita.
E’ un cambiamento totale. Non cambia solo la politica militare ma
cambia la Costituzione, l’idea della politica, la ragion di Stato,
le alleanze, i rapporti con l’ONU, viene istituzionalizzata la
guerra e annunciato un periodo di conflitti ad alta probabilità di
occorrenza che avranno l’Islam come nemico. Ci vorrebbe un dibattito
in Parlamento, non si dovrebbe parlare d’altro. Però nessuno se ne
accorge, il Modello di Difesa non giungerà mai in aula e non sarà
mai discusso dal Parlamento; forse ci si accorse che quelle cose non
si dovevano dire, che non erano politicamente corrette, i documenti
e le risoluzioni strategiche dei Consigli Atlantici di Londra e di
Roma, che avevano preceduto di poco il documento italiano, erano
stati molto più cauti e reticenti, sicché finì che del Nuovo Modello
di Difesa per vari anni si discusse solo nei circoli militari e in
qualche convegno di studio; ma intanto lo si attuava, e tutto quello
che è avvenuto in seguito, dalla guerra nei Balcani alle Torri
Gemelle all’invasione dell’Iraq, alla Siria, fino alla terza guerra
mondiale a pezzi che oggi, come dice il papa, è in corso, ne è stato
la conseguenza e lo svolgimento.
Il perché della nuova Costituzione
E allora questa è la verità del referendum. La nuova Costituzione è
la quadratura del cerchio. Gli istituti della democrazia non sono
compatibili con la competizione globale, con la guerra permanente,
chi vuole mantenerli è considerato un conservatore. Il mondo è il
mercato; il mercato non sopporta altre leggi che quelle del mercato.
Se qualcuno minaccia di fare di testa sua, i mercati si turbano. La
politica non deve interferire sulla competizione e i conflitti di
mercato. Se la gente muore di fame, e il mercato non la mantiene in
vita, la politica non può intervenire, perché sono proibiti gli
aiuti di Stato. Se lo Stato ci prova, o introduce leggi a difesa del
lavoro o dell’ambiente, le imprese lo portano in tribunale e vincono
la causa. Questo dicono i nuovi trattati del commercio globale. La
guerra è lo strumento supremo per difendere il mercato e far vincere
nel mercato.
Le Costituzioni non hanno più niente a che fare con una tale
concezione della politica e della guerra. Perciò si cambiano. Ci
vogliono poteri spicci e sbrigativi, tanto meglio se loquaci.
E allora questa è la ragione per cui la Costituzione si deve
difendere. Non perché oggi sia operante, perché è stata già cambiata
nel ‘91, e il mondo del costituzionalismo democratico è stato
licenziato tra l’89 e il ’91 (si ricordi Cossiga, il picconatore
venuto prima del rottamatore). Ma difenderla è l’unica speranza di
tenere aperta l’alternativa, di non dare per compiuto e
irreversibile il passaggio dalla libertà della democrazia
costituzionale alla schiavitù del mercato globale, è la condizione
necessaria perché non siano la Costituzione e il diritto che vengono
messi in pari con la società selvaggia, ma sia la società selvaggia
che con il NO sia dichiarata in difetto e attraverso la lotta sia
rimessa in pari con la Costituzione, la giustizia e il diritto.
[1] Eric Hobsbawm, Il Secolo breve (1914-1991: l'era
dei grandi cataclismi), Rizzoli, Milano, 1995.
[2] Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli,
Milano, 1992.
* Discorso tenuto il 16/09/2016 a Messina nel
Salone delle bandiere del Comune in un’assemblea sul referendum
costituzionale promossa dall’ANPI e dai Cattolici del NO e il
17/09/2016 a Siracusa in un dibattito con il prof. Salvo Adorno del
Partito Democratico, sostenitore delle ragioni del Sì.
(26 settembre 2016)