Superare il Concordato: una battaglia di laicità contro l’ingerenza del Vaticano

La Chiesa viola sempre più palesemente il Concordato del 1984. E i benefici economici che le sono concessi dallo Stato sono eccessivi e ingiustificati. È dovere dunque delle forze laiche porre di nuovo all’ordine del giorno il tema dei rapporti fra Stato e Chiesa, per riaffermare la laicità come principio supremo dello Stato.

Mussolini e il Concordato

L’11 febbraio del 1029, con i Patti Lateranensi – di cui il documento principale è il Concordato - Mussolini pensò di chiudere “la questione romana” e di conquistare definitivamente la fiducia e l’appoggio della Chiesa. Le concessioni essenziali alla Chiesa furono tre: 1) il riconoscimento della religione cattolica come unica religione di Stato; 2) l’obbligatorietà del suo insegnamento nelle scuole; 3) il pagamento della “congrua” ai preti da parte dello Stato.

La Costituzione del 1948 e la Chiesa

La Costituzione del 1948 affermò principi del tutto diversi, partendo dal concetto che “lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani” (articolo 7), ponendo “sullo stesso piano tutte le fedi religiose” (articolo 8) e prevedendo quanto segue sulla scuola: “La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato” (articolo 33).
Le norme del Concordato che contenevano le principali concessioni alla Chiesa sarebbero dunque divenute difficilmente compatibili con la Costituzione se l’articolo 7, per volontà della Democrazia Cristiana e di altre forze moderate e con il determinante appoggio del PCI, non avesse incorporato il Concordato nella stessa Costituzione.

Una operazione che risolveva sul momento la contraddizione, senza però eliminarla. Craxi e la revisione del Concordato.

Tanto che quando al potere arrivò il socialista Craxi (per inciso, grande ammiratore di Garibaldi), egli si pose il problema di una revisione del Concordato, che avvenne nel marzo del 1985.

La revisione pensata da Bettino Craxi - e dal suo consigliere Gennaro Acquaviva, un politico colto e credente - fu tutt’altro che una operazione di cosmesi istituzionale. Caddero infatti, nel nuovo testo, i tre punti essenziali del Concordato di Mussolini: quella cattolica smise di essere la “religione di Stato”; il suo insegnamento nelle scuole divenne facoltativo; fu abolita la congrua.

Le scelte politiche degli anni e dei governi successivi - compreso quello dello stesso Craxi - si mossero però in direzione opposta a quella che ci si poteva attendere dopo la revisione del Concordato, riportando in essere, sia pure senza dirlo e sotto mentite spoglie, i privilegi accordati nel 1929 e revocati nel 1984.

La Religione di Stato

La religione cattolica rimase infatti “religione di Stato” nel sentire e nei comportamenti non tanto del “popolo” quanto della nostra classe politica. Basti pensare alla annuale visita dei nostri vertici istituzionali al “legato pontificio” in Roma, l’11 febbraio di ogni anno: i presidenti della Repubblica, della Camera e del Senato, il presidente del Consiglio, i presidenti della Regione Lazio e della Provincia di Roma, il sindaco della Capitale, tutti in processione a rendere inspiegabilmente omaggio ai potenti della Chiesa (il sindaco Veltroni, nel 2008, arrivò perfino a prendersi una pubblica lavata di capo da Papa Ratzinger per le cattive condizioni della Capitale e a sentirsi chiedere dal Pontefice, sempre in pubblico e senza pudore, più soldi per gli ospedali e le scuole cattoliche). Del resto, un trattamento da religione di Stato è assicurato alla Chiesa Cattolica, anche dal servizio pubblico radiotelevisivo, che spesso appare come una brutta copia della Radio Vaticana.

L’insegnamento della religione

L’insegnamento della religione cattolica (in sigla, IRC), nei fatti, è tuttora obbligatorio, a causa del comportamento della Pubblica Istruzione. Infatti, per gli allievi che chiedono l’esonero non sono previste quasi mai, nell’ora di religione (due ore nelle elementari) attività alternative, per cui spesso essi trascorrono l’ora nel corridoio, affidati al bidello, come fossero stati puniti con l’espulsione dalla classe. Non si può pretendere da questi allievi, considerando la loro età, che tengano il punto ed accettino di sopportare per coerenza questa situazione di isolamento; né che siano i loro genitori ad imporre loro questo “castigo”. Il dato di fatto è che l’ora di religione è frequentata da circa il 90% degli studenti, in un paese in cui i cattolici praticanti, come vedremo più avanti, non raggiungono la metà della popolazione. Del resto, il favore con cui lo Stato guarda all’ora di religione è dimostrato da una serie di norme, emanate in particolare fra il 2004 e il 2007 dai ministri della P. I. del centro destra, in base alle quali la scelta degli insegnanti – che entrano direttamente in ruolo scavalcando le decine di migliaia di precari - spetta alle gerarchie ecclesiastiche. Non solo, ma per i circa 26.000 insegnanti di religione è assicurata, laddove non vi siano classi sufficienti, l’assegnazione di un’altra materia di insegnamento. Questa serie di privilegi appare ancor più ingiustificata se si tengono presenti i segnali che vengono, su questo tema, dalla società civile. E’ significativo, ad esempio, il fatto che in alcune delle maggiori città italiane, come Milano, il dato della partecipazione all’IRC crolli, nelle scuole superiori, sotto il 50%. Sempre a Milano, circa 200 classi sono addirittura prive di IRC perché nessuno studente se ne è avvalso.

 

Dalla congrua all’otto per mille. Il costo della Chiesa per lo Stato italiano: oltre 4 miliardi di euroInfine, l’abolizione della congrua è stata più che compensata dal meccanismo dell’otto per mille - già previsto dalla revisione del 1984 e normato da una legge dello stesso governo Craxi del maggio 1985 - e da una serie di altri benefici economici e fiscali. Ne ha fatto una documentata sintesi Curzio Maltese, in uno studio pubblicato nel settembre 2007 da “Repubblica”.

Sull’otto per mille vanno fatte due osservazioni. La prima, di carattere economico, riguarda il meccanismo perverso per cui la massa degli otto per mille non destinati (oltre la metà sul totale dei contribuenti) non va, come sarebbe normale, allo Stato, ma viene ridiviso in base alle stesse percentuali degli otto per mille destinati. E poiché quasi il 90% di questi va alla Chiesa Cattolica, ecco che questa vede quasi raddoppiarsi – indebitamente – il totale delle sue entrate a questo titolo, giungendo a circa un miliardo di euro l’anno. La seconda osservazione, di carattere politico/morale, riguarda l’uso che la Chiesa fa dei proventi dell’otto per mille. Riprendo i dati da una fonte insospettabile, il bilancio annuale della CEI. Su cinque euro versati dai contribuenti, la conferenza dei vescovi dichiara di spenderne uno per interventi di carità in Italia e all'estero (rispettivamente 12 e 8 per cento del totale). Gli altri quattro euro servono all'autofinanziamento. Prelevato il 35 per cento del totale per pagare gli stipendi ai circa 39 mila sacerdoti italiani, rimane ogni anno mezzo miliardo di euro che il vertice Cei distribuisce all'interno della Chiesa a suo insindacabile parere sotto voci generiche come "esigenze di culto", "spese di catechesi", attività finanziarie e immobiliari (banale ma non inutile richiamare la recente vicenda del Cardinale Bertone). La Chiesa valdese, per fare un confronto, destina l’intero ammontare del suo otto per mille a finalità di beneficenza o di studio. E’ giusto aggiungere che nella cultura cattolica è in corso da anni un coraggioso, doloroso e censuratissimo dibattito sul "come" le gerarchie vaticane usano il danaro dell'otto per mille "per troncare e sopire il dissenso nella Chiesa". Una delle testimonianze migliori è il pamphlet "Chiesa padrona" di Roberto Beretta, scrittore e giornalista dell'Avvenire. Al capitolo "L'altra faccia dell'otto per mille", Beretta osserva: "Chi gestisce i danari dell'otto per mille ha conquistato un enorme potere, che pure ha importantissimi risvolti ecclesiali e teologici". Continua: "Quale vescovo per esempio - sapendo che poi dovrà ricorrere alla CEI per i soldi necessari a sistemare un seminario o a riparare la cattedrale - alzerà mai la mano in assemblea generale per contestare le posizioni della presidenza?"

“La Chiesa cattolica – scrive Maltese - costa ai contribuenti italiani oltre quattro miliardi di euro all'anno, tra finanziamenti diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale. La prima voce comprende il miliardo di euro dell'otto per mille, i 650 milioni per gli stipendi dei 22 mila insegnanti dell'ora di religione, altri 700 milioni versati da Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e sanità. Poi c'è la voce variabile dei finanziamenti ai Grandi Eventi, dal Giubileo del Duemila(3.500 miliardi di lire) al più recente raduno di Loreto (2,5 milioni di euro), per una media annua, nell'ultimo decennio, di 250 milioni. A questi due miliardi 600 milioni di contributi diretti alla Chiesa occorre aggiungere il cumulo di vantaggi fiscali concessi al Vaticano, oggi al centro di un'inchiesta dell'Unione Europea per "aiuti di Stato". L'elenco è immenso, nazionale e locale. Sempre con prudenza si può valutare in una forbice fra 400 e 700 milioni il mancato incasso per l'ICI (stime dell'associazione dei Comuni), in 500 milioni le esenzioni da Irap, Ires e altre imposte, in altri 600 milioni l'elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico, che gestisce ogni anno da e per l'Italia un flusso di quaranta milioni di visitatori e pellegrini. “Il totale – conclude Maltese - supera i quattro miliardi all'anno, dunque una mezza finanziaria, un Ponte sullo Stretto o un Mose all'anno, più qualche decina di milioni”.

Per avere un’idea di cosa rappresentino quattro miliardi, basta ricordare che nell’anno esaminato da Maltese, il 2007, il bilancio totale dei Beni Culturali italiani (il patrimonio più vasto e ricco del mondo) era di 1 miliardo e 400 milioni di euro e che per evitare la continua riduzione di questo stanziamento (un terzo di quello medio dei paesi europei comparabili) devono scendere in campo con plateali proteste i più bei nomi della nostra cultura. Con quel che ci costa la Chiesa, si potrebbero quasi triplicare gli stanziamenti per i Beni Culturali, finalizzando queste risorse aggiuntive alla creazione di posti di lavoro di alto livello (storici dell’arte, archeologi, antropologi, restauratori e via dicendo).

 

La fonte più ricca di dati e più attendibile è il rapporto annuale sulla secolarizzazione curato da Critica Liberale, una Fondazione diretta da Enzo Marzo che ebbe come primo presidente Norberto Bobbio. Le fonti su cui è costruito il rapporto sono documenti prodotti da enti o istituzioni che li pubblicano per i loro scopi (la Chiesa cattolica nel suo Annuario statistico, la Cei, l’Istat, il Miur, il Ministero della Salute). Tre soli dati (sono del 2004 e ovviamente negli ultimi dieci anni sono peggiorati per la Chiesa). - battesimi: nel decennio 1994-2004 c’è stato un calo di circa 12 punti percentuali (dall’89,4% al 77,46% dei bambini nati in quell’anno - matrimoni: dal 1991 al 2004 i matrimoni concordatari sono scesi dall’82,53% al 68,83% delle legittime unioni. La percentuale delle nozze solo civili è passata dal 17,5% del 1991 al 31,2% del 2004 - unioni di fatto: sono passate da 207 mila del 1993 a 556 mila nel 2004. 

La secolarizzazione della società italiana, sempre più multiculturale e multireligiosa
Questo comportamento generosissimo e ossequioso dello Stato italiano è in controtendenza rispetto a due importanti fenomeni:
- Il fatto che dall’epoca del Concordato ad oggi si è verificato un rapido e intenso processo di secolarizzazione della società. Tutti i dati concordano nel dire che oggi i cattolici “veri” (quelli credenti, praticanti e osservanti) sono meno della metà degli italiani.
- Il fatto che l’Italia, a causa del fenomeno della immigrazione (4 milioni solo i “regolari”) sta diventando un paese multiculturale, con una non marginale presenza di altre religioni.
Eppure, la Chiesa non dimostra certo gratitudine rispetto a questo Stato benevolo.

Il Tevere più stretto per l’ingerenza del Vaticano: superare il Concordato
L’ingerenza del Vaticano e in genere delle gerarchie ecclesiastiche negli affari interni dell’Italia si fa sempre più pesante. Fa sorridere leggere questo passaggio del Concordato del 1929: “Per tutto quanto si riferisce al ministero pastorale, tanto la Santa Sede quanto i Vescovi possono pubblicare liberamente ed anche affiggere nell’interno ed alle porte esterne degli edifici destinati al culto o ad uffici del loro ministero le istruzioni, ordinanze, lettere pastorali ed altri atti riguardanti il governo spirituale dei fedeli, che crederanno di emanare nell’ambito della loro competenza”.

Il Vaticano ha rifiutato due volte di firmare convenzioni internazionali sui diritti civili. La prima volta si è trattato del “no” alla depenalizzazione della omosessualità proposta dalla Francia e approvata dall’ONU: un rifiuto particolarmente grave perché in molti paesi l’omosessualità è punita addirittura con la pena di morte. Motivo del rifiuto: il timore che la lotta alla discriminazione degli omosessuali possa portare alla legalizzazione delle unioni tra gay. La seconda volta il Vaticano ha espresso il proprio dissenso nei confronti della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità – il primo trattato sui diritti umani del Terzo Millennio - entrata in vigore nel maggio del 2008. Il Vaticano ha rifiutato di firmarla perché il documento non ha inserito un divieto esplicito nei confronti dell’aborto.

Si può ben dire che la Chiesa, rispetto a questi “permessi” dello Stato del 1929 – fascista ma ancora intriso della laicità ottocentesca – si è ampiamente “allargata”. Basti citare, un po’ in disordine, alcuni esempi degli ultimi anni :

  • le manovre di Ruini – una vera e propria campagna mediatica - per far mancare il quorum per il referendum sulla fecondazione assistita;
  • le pesanti pressioni perché fosse approvata la legge del centro destra, inumana e palesemente incostituzionale, sul testamento biologico;
  • l’aggressione di numerosi alti prelati ai familiari di Welby ed Eluana Englaro ed a tutti quanti si battono per la libertà nelle scelte di fine vita (definiti senza mezzi termini assassini)
  • le continue “campagne” contro le leggi dello Stato relative al divorzio e all’aborto;
  • il veto tassativo a norme in favore delle coppie di fatto;
  • i frequenti atteggiamenti omofobici, condannati dalla Comunità Europea (nota 3)
  • la incredibile affermazione di papa Ratzinger secondo cui molto spesso sono i ginecologi che inducono le donne ad abortire;
  • le palesi pressioni di Bagnasco – “L’Espresso”, ripreso da tutti i giornali e mai smentito – per ottenere un DG della RAI, indicato con nome e cognome, gradito al Vaticano: un atteggiamento senza pudore e senza precedenti nella storia della RAI, pur ricca di vicende di pressioni e lottizzazioni
  • Il siluro di Papa Bergoglio, di ritorno da Filadelfia (il famoso “Io non l’ho invitato. Chiaro?”), al Sindaco Marino, colpevole di aver favorito a Roma i testamenti biologici e le unioni civili, anche omosessuali
  • L’invito del Cardinale Vallini, Vicario di Roma, a cercare per la Capitale una nuova classe dirigente, “ ripartendo dalle molte risorse religiose e civili (ndr: in questo ordine) presenti a Roma».

 “Non si può pretendere – argomenta Romano - che la Chiesa abbia un Papa piuttosto che un altro, come accadde nel 1903 quando l’Austria mise il veto all’elezione del cardinale Rampolla. Non si può condizionare la scelta di un vescovo all’approvazione dell’autorità civile, come pure accadde per molti secoli in Europa. Ma la Chiesa non può, a sua volta, intervenire nelle scelte elettorali dei cittadini o addirittura dare indicazioni di voto ai parlamentari cattolici”. E Romano ricorda, oltre a molti altri casi, che la Conferenza episcopale, con una nota del 27 marzo 2007, dichiarò che “la legalizzazione delle coppie di fatto era inaccettabile” e aggiunse: “Nessun politico che si proclami cattolico può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società. Sarebbe incoerente quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto”. Il parlamentare cattolico aveva quindi il “dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro qualsiasi progetto di legge che possa dare un riconoscimento alle unioni gay”. Queste affermazioni – conclude Romano - non sono, compatibili, a mio avviso, con l’art. 1 del Concordato del 1984”.

 

Eppure la separazione degli ambiti è iscritta nell’art. 1 del Concordato del 1984: “La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti e alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”. Questo – ha scritto ripetutamente Sergio Romano – “significa che nessuno dei due ha il diritto d’interferire nei meccanismi istituzionali dell’altro. Può affermare e argomentare pubblicamente i propri principi e valori, ma non può entrare nella stanza dei bottoni e scegliere il manovratore che più gli conviene”
Siamo dunque di fronte a due realtà inconfutabili. La prima è che la Chiesa, con i suoi comportamenti, viola palesemente e ripetutamente l’articolo 1 del Concordato del 1984. La seconda è che i benefici economici che le sono concessi dallo Stato sono eccessivi, ingiustificati e spesso contrari ai principi generali della fiscalità, come nel caso della esenzione dall’ICI, o addirittura alla Costituzione: è il caso dei finanziamenti alla scuola privata, concessi malgrado le disposizioni tassative del già citato articolo 33 (la famosa dicitura “senza oneri per lo Stato”).

 

 

I tempi e i modi per il superamento del Concordato
L’occasione in cui affrontare questi problemi e proporre delle soluzioni ragionevoli ma coraggiose poteva essere il XX settembre del 2015 del 2011, ricorrenza del 150° anniversario dell’unità d’Italia.
Persa quella occasione, è però necessario, per le ragioni sopra esposte e per l’aggravarsi delle violazioni da parte della Chiesa, chiedere oggi il superamento del Concordato.
Naturalmente, qualunque proposta deve tener conto della realtà italiana, e in particolare del fatto che nella quasi totalità dei partiti esiste una componente di cattolici integralisti molto agguerrita e capace di condizionare ogni scelta politica.
Ma è comunque possibile – e doveroso – chiedersi come si può porre rimedio, almeno in parte, a queste situazioni che fanno dell’Italia una realtà lontana e diversa da quella degli altri grandi paesi cattolici d’Europa: il solo che non ha norme moderne sulle scelte di fine vita; che non riconosce alcun diritto alle unioni di fatto (discriminando e danneggiando così soprattutto le coppie gay); in cui, in attesa che la Magistratura finisca di demolirla, una legge incostituzionale sulla procreazione assistita continua a creare difficoltà alle coppie desiderose di avere un figlio; dove anche la nostra valida e sperimentata legge sull’aborto viene sabotata da una stragrande maggioranza di ginecologi “obiettori di coscienza”, per convinzione o per opportunismo; dove si vuole imporre il “sondino di stato” ma non si trovano mai i fondi per assicurare a decine di migliaia di malati terminali le necessarie cure palliative.

Le soluzioni possibili e il dovere delle forze laiche
Le strade da seguire sono diverse e le soluzioni possono andare da un massimo (l’abolizione del Concordato) ad un minimo (la riduzione di parte dei privilegi economici concessi alla Chiesa). Naturalmente, io qui mi fermo. Alle forze politiche il compito di definire gli obiettivi, ai giuristi quello di trovare le soluzioni.
Penso comunque, per le ragioni che ho cercato d illustrare, che sia dovere delle forze laiche – soprattutto dei Socialisti e dei Radicali Italiani, protagonisti della “primavera dei diritti civili” degli anni Settanta – porre di nuovo all’ordine del giorno il tema dei rapporti fra Stato e Chiesa, per ottenere comunque e da subito due obiettivi politici:
- Dare un forte segnale di insofferenza verso il Vaticano (“aprire una vertenza”) per la sua politica aggressiva nei confronti dell’Italia - Riaffermare la laicità come principio supremo dello Stato, più volte ribadito dalla Corte costituzionale.
Per i nuovi capi dei Radicali Italiani – il segretario Magi e il presidente Cappato – sarebbe un bel modo per uscire dalla rigida gabbia tematica degli ultimi anni (giustizia e carceri), per i Socialisti, reduci da una bella conferenza programmatica, per tornare con grinta sui vecchi campi di battaglia della laicità.
L’8 dicembre si aprirà il Giubileo straordinario voluto da Papa Bergoglio: una manifestazione di cui francamente non si capiscono le motivazioni (a parte quella, che dovrebbe essere la stessa base permanente dell’agire della Chiesa, della “Misericordia”) e che piomba come uno tsumani su di una Capitale prostrata dalla crisi politica e morale e dalle mille difficoltà del vivere quotidiano, oltre che minacciata esplicitamente dai terroristi dell’ISIS.
Una tentazione anticlericale – sana, ma in questo caso, lo ammetto, poco costruttiva- ci indicherebbe proprio quello come il giorno adatto per aprire la “vertenza Concordato”. Ma vi è una alternativa più “istituzionale”, anch’essa non lontana nel tempo. L’11 febbraio del 2016, anniversario del Concordato, la processione delle autorità nazionali potrebbe portare nella sfarzosa sede dell’Ambasciata un dono diverso dal solito: la richiesta del popolo italiano e dei suoi rappresentanti elettivi di tornare ad essere “indipendente e sovrano”.
Articolo di Carlo Troilo pubblicato su MicroMedia il 30 novembre 2015

 

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