La grande truffa chiamata Jobs Act
È ormai possibile tirare le somme dell’operazione Jobs Act e
incrementi occupazionali che è stata, nell’ultimo biennio il cuore
politico e pubblicitario del governo di Matteo Renzi. Che il Jobs
Act in sé considerato consiste solo in una sistematica distruzione
dei diritti che assicuravano dignità ai lavoratori italiani, è ormai
chiaro a tutti perché, con la pratica abolizione dell’art. 18 dello
Statuto, i lavoratori sono ormai privi di difesa contro ogni tipo
di sopraffazione. Ci si è chiesti però se questa umiliazione avesse
– come a sempre ha sostenuto il patronato – il pur discutibile
vantaggio di una maggiore occupabilità, ossia di una maggior
propensione dei datori di lavoro ad assumere lavoratori perché ormai
resi malleabili.
Per sostenere questa deteriore ed infondata tesi il governo Renzi ha
pensato di ricorrere ad un (costosissimo) trucco che gli avrebbe
consentito poi di menare gran vanto: si trattava di dotare i nuovi
contratti di lavoro a tempo indeterminato (ma senza garanzia
dell’art. 18) di un incentivo economico davvero poderoso, così
drogando al massimo le assunzioni nel periodo subito successivo al
Jobs Act ossia nell’anno 2015.
È stata, dunque, varata la decontribuzione, in forza della quale il
datore che avesse assunto nell’anno 2015 lavoratori con il «nuovo»
contratto di lavoro a tempo indeterminato avrebbe ricevuto, per il
triennio successivo uno sgravio contributivo fino ad 8.060,00 annui
per un totale così di ben euro 24.000 per ogni assunzione. Ma
appunto solo per i contratti conclusi nell’anno 2015, perché per
quelli conclusi nel 2016 il regalo si sarebbe più che dimezzato.
L’unica condizione posta dalla legge era che il lavoratore da
assumere non avesse già avuto un contratto di lavoro a tempo
indeterminato negli ultimi sei mesi precedenti, perché altrimenti,
come ovvio, tutti sarebbero ricorsi a licenziamenti immediatamente
seguiti dalle assunzioni con l’incentivo. La decontribuzione veniva
invece concessa se il lavoratore avesse prima lavorato con contratto
precario (es: a termine, di apprendistato, di collaborazione a
progetto) perché queste trasformazioni sarebbero state il fiore
all’occhiello del governo Renzi accreditato come grande protagonista
– della lotta al precariato.
Ben presto questa «storica impresa» si è rivelata un semplice bluff
con il crollo delle assunzioni a tempo indeterminato appena
trascorso l’anno d’oro 2015, ma quello che pochi sanno è che non si
è trattato solo di un immenso dispendio di denaro pubblico senza
adeguati risultati, ma, piuttosto, di un immenso furto di denaro
pubblico perché consapevolmente versato, nei casi di trasformazioni
di rapporti precari, a datori di lavoro i quali, 9 volte su 10 erano
evasori e contravventori passibili di multe e recuperi contributivi
da parte dell’Inps.
In secondo luogo vogliamo segnalare al lettore che la
decontribuzione demagogica del governo ha dovuto drenare risorse per
il suo «regalo agli evasori», ha dovuto abrogare il principale vero
incentivo all’occupazione, che funzionava bene da oltre 20 anni,
ossia quello previsto dall’art 8 l. 407/1990 per disoccupati e cassa
integrati da più di 24 mesi.
Procediamo, però, con ordine: nel corso del 2015 si sono registrati
1,4 milioni di nuovi rapporti a tempo indeterminato incentivati ma,
con quasi 500.000 trasformazioni di contratti a termine e quasi
100.00 di contratti di apprendistato, oltre alle trasformazioni di
centinaia di migliaia di co.co.pro. (collaborazioni a progetto)
figura giuridica abrogata dal 01.01.2016.
Proprio queste trasformazioni sono state le occasioni del rande
furto di cui tra poco si dirà, dopo aver ricordato che nel 2016,
quando la decontribuzione è stata ridotta per i contratti di
quest’ultimo anno da 8.060 a 3.250 e la sua durata decurtata da 36 a
24 mesi. Allora è arrivato il risveglio dalla sbornia: infatti
secondo l’Inps nei primi quattro mesi del 2016 si è avuta una
diminuzione rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente
addirittura del 78% dei contratti a tempo indeterminato mentre
tornavano cosi a dominarlo i contratti precari e a termine e
addirittura vouchers, forma di mercificazione definitiva del lavoro
umano.
Il bluff così è stato scoperto ma non ancora il reato che esso
nascondeva e che ora denunciamo: il fatto è che le molte centinaia
di migliaia di trasformazioni dei contratti precari (delle tre
principali tipologie del contratto a termine, apprendistato e a
progetto) nascondevano una circostanza peraltro notissima agli
operatori del mercato del lavoro, e cioè che essi erano quasi sempre
irregolari. Infatti o mancava una causale precisa (contratti a
termine), o mancava l’insegnamento (apprendistato), o mancava in
realtà il progetto (co.co.pro.) con la conseguenza che per legge
quei rapporti dovevano essere considerati già tutti a tempo
indeterminato fin dal loro inizio. Per conseguenza non poteva essere
concessa dall’Inps la decontribuzione connessa alla loro apparente
trasformazione nei nuovi contratti a tutele crescenti perché, come
detto, la stessa Legge 190/2014 vietava di concedere la
decontribuzione con riguardo ai lavoratori che già fossero (in
realtà) a tempo indeterminata nei sei mesi precedenti.
Quello che scandalizza, allora, è che l’Inps il quale era, per
l’innanzi, ben attento a perseguire i rapporti precari irregolari,
andando alla loro caccia e dichiarandoli a tempo indeterminato, cosi
da poter recuperare la relativa contribuzione, sia improvvisamente
convertito con l’arrivo del Jobs Act e della L.190/2014 al ruolo di
pacifico e innocuo «ufficiale pagatore». Così da concedere, in
automatico tutte le decontribuzioni richieste per le supposte
trasformazioni di rapporti o precari invece di fare ciò che doveva
fare, ossia una attentissimo screening o vaglio dei contratti
precari in via di trasformazione, per escludere quelli irregolari,
dai quali, era già sorto fin dal principio un rapporto di lavoro a
tempo indeterminato.
Quante sono state le trasformazioni fasulle? Difficile dirlo,
naturalmente, ma ammesso che potessero essere anche solo 8 su 10 e
cioè 500.000 circa in tutto, il danno ovvero furto di denaro
pubblico può essere calcolato in miliardi di euro, tra gli 8 e 10
nell’arco del triennio. Ognuno può d’altro canto calcolare da sé le
varie ipotesi quantitative, ricordando che la decontribuzione
triennale per ogni contratto del 2015 è di 24.000.
Può essere che nessuna centrale sindacale senta il bisogno di
portare queste semplicissime riflessioni ad una Procura della Corte
dei Conti o anche della Magistratura penale?
E veniamo al secondo importante profilo: l’incentivazione
dell’occupazione è uno dei punti più delicati della disciplina del
mercato del lavoro può facilmente dar luogo ad effetti distorsivi.
Ma su un concetto vi è un accordo unanime: che l’incentivazione più
importante è quella che aiuti a reinserire nel circuito lavorativo
chi ne è uscito da un tempo ormai cosi lungo da far temere una
emarginazione definitiva.
A questo provvedeva l’art. 8 della Legge 407 /1990, il quale
concedeva a chi avesse assunto a tempo indeterminato un disoccupato
o cassaintegrato da più di 24 mesi, una decontribuzione per tre anni
al 100% se l’imprenditore operante del centro sud o di qualifica
artigiana e del 50% negli altri casi. La grande utilità della misura
è testimoniata dalla circostanza che è durata per ben 25 anni fin
quando Renzi l’ha abolita per finanziare le sue trasformazioni
fasulle di contratti precari irregolari.
Decisamente la normativa del lavoro del governo Renzi e degli altri
governi liberisti che l’hanno preceduto, scritta sotto dettatura di
Confindustria, merita soltanto di essere abrogata e rifatta da capo
a fondo.
Articolo di Piergiovanni Alleva pubblicato su Il
Manifesto il 3 agosto 2016
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