Lavoro, un candidato su tre escluso per uso "improprio"
di Facebook
I social network sempre più utilizzati per un'analisi dei profili
personali. Secondo una indagine Adecco, il 35 per cento dei recruiter in
Italia ha dichiarato di aver escluso un potenziale candidato "in seguito
alla pubblicazione di contenuti o foto improprie". Le ricerche di una
occupazione passa sempre di più dal web
Pubblicare una foto su Facebook che vi ritrae a torso nudo intonando
cori da stadio tra i fumi di un fumogeno. Oppure condividere con
l'universo mondo la vostra debolezza per lo shopping compulsivo che vi
consuma tutti i risparmi. In entrambi i casi, sappiate che tutto ciò non
lo fate sapere soltanto agli amici o a qualche curioso di passaggio sul
vostro profilo. Ma potrebbe diventare parte integrante del vostro
profilo, tra il voto di laurea e l'ultimo posizione occupata in azienda.
Detto in altre termini, una "web reputation" negativa potrebbe decidere
in favore dei vostri "concorrenti" in un colloquio di lavoro.
Dimostrare di saper utilizzare i social network è sempre più richiesto
quando ci si presenta per un nuovo lavoro. Ma esagerare nell'utilizzo di
Facebook, soprattutto, o di un altro social potrebbe diventare un
ostacolo insormontabile nel traguardare una selezione. Oltre che
diventare imbarazzante per il proprio curriculum vitae. Non stupisce più
di tanto il dato che emerge dall'annuale ricerca Adecco denominata "Work
Trends Study", che in Italia ha coinvolto 2.742 candidati e 143 "reclutatori".
Dove si conferma che il settore si è trasferito quasi per intero sulla
Rete, visto che "le attività di ricerca di lavoro da parte di candidati
e di ricerca di profili professionali da parte dei recruiter si svolgono
per la maggior parte sul web, rispettivamente nel 80 per cento e nel 64
per cento dei casi. Per l'attività dei recruiter, rispetto all'indagine
precedente, si tratta di un vero balzo in avanti con un incremento del
19% della quota. Adecco prevede che entro il 2017, più di due candidati
su tre (71%) verranno individuati attraverso una ricerca internet.
E siccome tutto si muove attorno al web, chi è in cerca di una
occupazione andrà a vedere il profilo di una società per cercare di
evitare di finire nel posto sbagliato o con scarse prospettive di
carriera. Ma, allo stesso, modo, le imprese o chi deve selezionare il
personale finisce inevitabilmente per costruire un profilo dei candidati
che passa anche dai social. I recruiter ammetteono nella ricerca di
"adoperare i social network per cercare candidati passivi (78,3% delle
risposte), verificare i cv ricevuti (75,5%) e la rete del candidato
(67,1%), controllare i contenuti pubblicati (57,3%) e la digital
reputation (50,3%). In sostanza, la web reputation assume sempre più
rilievo: aumenatato il numero di recruiter che hanno ammesso "di aver
escluso potenziali candidati dalla selezione in seguito alla
pubblicazione di contenuti o foto improprie sui profili social", in una
percentuale che dal 25,5 per cento della precedente rilevazione è salita
all'attuale 35 per cento.
"Non c'è dubbio che l'attenzione al proprio profilo sui social network
sta diventando una fattore importante nell'approccio al mondo del
lavoro", sostiene Andrea Malacrida, amministratore delegato di Adecco
Italia nel commentare i risultati della ricerca. Anche se tiene a
sottolineare come "il ricorso a una analisi della pagina Facebook dei
candidati non è l'elemento essenziale in una scelta. Ma di fronte a un
candidato di cui non si è del tutto sicuri o che è in concorrenza con
altri, potrebbe determinare la scelta finale".
Ma cosa valutano i selezionatori e cosa li spinge a bocciare un
candidato? Sempre secondo l'indagine, emerge che non canta tanto il
numero di connessioni, ma conta l'aver pubblicato foto improprie (20%
dei casi), aver dato "informazioni non coerenti con il cv (18%), aver
"evidenziato caratteristiche della personalità non adatte alla posizione
di lavoro aperta" (16%). Contano anche l'aver scoperto commenti negativi
sui datori di lavoro precedenti (11%) e contenuti di tipo
discriminatorio (8,4%).
Non solo Facebook viene preso in considerazione. Per i livelli
professionali più alti, anche Twitter può essere decisivo soprattutto
per capire il grado di influenza che si è in grado di dimostrare sugli
altri utenti. "Ma non c'è dubbio che sia Facebook per la sua diffusione,
per il tipo di informazioni che vengono veicolate dagli utenti e per la
rete che sa generare - spiega ancora Malacrida - sicuramente quello più
utile per una valutazione complessiva".
Articolo di Luca Pagni pubblicato su La Repubblica
l'11 novembre 2015
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